Le luci di Algeri

 

Un piccolo ponte tra l’Italia e il Nord Africa. Un drammaturgo italiano, un dramma Algerino di oltre venti anni fa e tetre similitudini con eventi attualissimi. “Le Luci di Algeri” è un testo teatrale che ha valso il Premio Flaiano a Gianni Guardigli. Un “Requiem di fine millennio” dove i ruoli sociali, i sentimenti e i ”doveri  morali” dei personaggi, vengono descritti abilmente . Sono monologhi per lo più, o brevi scambi di battuta, dove i ricordi si mescolano alle riflessioni dei personaggi stessi.

Notti di Ramadan, notti insanguinate dalla furia di assassini che si rifanno, a loro dire, alla visione più pura dell’Islam. Gruppi organizzati di giovani che per tutti gli anni ’90, ma soprattutto verso fine decennio, durante le notti di Ramadan, fecero mattanza nei villaggi. Una lotta iniziata come guerra civile e finita senza l’appoggio della popolazione, sofferente e vittima. Un tragico bilancio, si stima, di oltre mille persone.

Il teatro come mezzo che scuote le coscienze, il teatro che racconta di  fatti reali, accaduti, ormai storici ma che sembrano cronaca recente. Un teatro che non è dalla parte di nessuno se non da quella dell’uomo e della sua parte più intima.

Cinque scene, cinque personaggi che parlano. Parole e urla si alternano a silenzi e attimi sospesi. Fuori campo voci di radiotrasmittenti raccontano fatti di cronaca che scandiscono i tempi e le circostanze. Lo spettatore è accompagnato attraverso le vicende da suoni, tamburi, percussioni, attimi di musiche RAI e ritmi berberi e arabi, di volta in volta eseguiti con maestria e sentimento (spesso da artisti originari del Maghreb).

Il dramma: l’uccisione di tre figli piccoli. La disperazione di una madre, la stanchezza e la rassegnazione delle donne anziane. Il peso della tragedia che si riversa soprattutto sulle donne,  loro che in questo testo fanno proprio il dolore anche quando non le tocca personalmente.  La speranza c’è,  così come la gratitudine per ciò che è stato, allo stesso tempo è chiara l’amarezza per ciò che viene strappato via. I bambini, innocenti e inerti sono come bambole. I bambini uccisi diventano “bambole rotte”.

Il senso di rabbia nei confronti di Dio, il collegamento logico spezzato tra la fede benevola delle vittime e le motivazioni assassine dei trucidatori. Gli “emiri”, nipoti che si sono rivoltati contro le famiglie, scagliati contro i loro stessi vicini, diventano assassini. Non c’è modo di capire, resta solamente il dovere di continuare una vita che non sembra avere senso. Poi, in contrasto col vuoto: la forza dell’uomo.  Il padre che si rialza e sente ancora più forte la spinta alla vendetta migliore:  lo scorrere stesso della vita, il ricominciare dall’inizio, per paradosso, da altri figli che verranno.

La storia si intreccia nei racconti dei personaggi, si parte dalle notti di sangue di fine millennio, si arriva alle lotte di indipendenza di alcuni anni prima, quando il padre era solo un bambino e i giovani patrioti cadevano con i libri in mano nella strada. La morte che viene messa a paragone, il sentimento che non cambia nel tempo e ripropone le stesse scene. La speranza ultima: la liberazione dell’ Algeria, la pace, le luci di Orano e di Algeri che brillano, non per i fuochi, ma solo per far luce nel buio che le ha ricoperte, ancora e ancora, per troppo a lungo.

 

Di Costanza Di Mauro

2020-02-18T15:25:38+01:0018 Febbraio 2020|

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