Illustriamo qui sotto i dati e la nostra recensione del film selezionato quest’anno da EquiLibri d’Oriente per l’edizione del 2019 del festival cinematografico EstAsia – Cinema d’Oriente. 

 

A first farewell / Di yi ci de li bie

 

Regia e sceneggiatura: Lina Wang

Fotografia: Yong Li

Montaggio: Matthieu Laclau

Musica: Wenzi

Interpreti: Isa Yasan: Isa; Kalbinur Rahmati: Kalbinur; Alinaz Rahmati: fratello di Kalbinur; Musa Yasan: fratello di Isa; Yasan Kamisu: padre di Isa; Ugulem Sugur: madre di Isa; Tajigul Heilmeier: madre di Kalbinur; Rahmati Kuramu: padre di Kalbinur; Kuramu Kasimu: nonno di Kalbinur.

Durata: 86’.

Origine: Cina, 2018.

Genere: poetico, neorealista.

Diritti internazionali: Flash Forward Entertainment.

 

 

 

Trama

In un villaggio contadino cinese della regione autonoma dello Xinjiang vive Isa, un ragazzo uiguro, che ama passare le giornate con la sua amica Kalbinur. Assieme passeggiano ed allevano una capretta consumando così momenti di svago spensierati. Però lo stato di salute di sua madre inizia ad aggravarsi ed il padre di Isa comincia a valutare se mettere la moglie in una clinica specializzata. Gli impegni scolastici si fanno pressanti, alcuni compagni di classe lasciano il villaggio e partono per la città e per i bambini tutto pare destinato a cambiare irrimediabilmente.

 

Biografia della regista

Lina Wang nasce nella regione autonoma Uigura dello Zinjiang nel 1987. Si laurea con un master in Comunicazione all’University of China di Pechino. “Di yi ci de li bie (A First Farewell)” è il suo film di debutto con cui ha vinto il Best Asian Future Film Award al Tokyo International Film Festival ed il premio speciale della giuria-Kplus al Festival internazionale del cinema di Berlino.

 

Recensione

Quando la propria cultura appare come retrograda nel proprio contesto che cosa accade? Pare essere questo l’interrogativo di fondo che emerge da quest’opera prima della regista Lina Wong, la quale ha voluto con questo film omaggiare la sua regione natale, lo Xinjiang, raccogliendo apprezzamenti al Tokyo International Film Festival ed al Festival di Berlino.

La pellicola rassomiglia al genere del docufilm in alcuni tratti come, ad esempio, il fatto che gli attori interpretino sé stessi, scelta che sottolinea l’intento di riportare un fedele spaccato di vita reale di ciò che accade nei territori dei dintorni di Urumqi. Infatti, le vicende sono ambientate in un villaggio della Cina nord-occidentale dove sono alcuni bambini appartenenti alla comunità uigura ad essere i protagonisti. Il loro punto di vista infantile ci guida all’interno di questo contesto rurale: seguendo le loro peripezie quotidiane, ci si addentra nella contemporanea routine di questa comunità, dedita alla raccolta del cotone, che vive in bilico tra difficoltà sociali-economiche e la rieducazione culturale a cui viene sottoposta. I temi dell’assimilazione culturale e del distacco forzato dalle proprie radici prendono luogo nella scuola che diventa un ambiente problematico per i bambini, poiché si vedono strappati ai giochi, ed ai passatempi in mezzo alla natura, a cui erano abituati per imparare invece una lingua a loro estranea. I bambini, tutto d’un un tratto, vengono inoltre coinvolti in una serie di responsabilità da adulti che li costringeranno a velocizzare il loro rito di passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Il protagonista Isa, ad esempio, si ritrova a dover badare alla madre molto malata, mentre la sua amica Kalbinur deve insegnare al suo fratellino i pochi rudimenti conosciuti di mandarino, sotto l’esortazione dei genitori che vedono l’apprendimento di quella lingua come l’unica via per i figli di costruirsi un futuro. La serenità e la spensieratezza che caratterizzavano le danze celebrative del giorno dell’Id al-adha lasciano il posto alle lacrime ed alla frustrazione per i cattivi voti e per le difficoltà scolastiche.

A questi aspetti si affianca il tema dell’abbandono che risulta ricorrente in tutto il film: dalla ricerca di Isa tra le dune del deserto della sua capretta smarrita, alla perdita della propria memoria sui banchi scolastici attraverso lo studio dei versi di un poeta nazionale che invita all’oblio, fino ad arrivare a chi lascia il villaggio per cercare un’occupazione in città. Le tradizioni non possono che scontrarsi con le necessità del progresso e delle sue declinazioni.

A first farewell” risulta essere un film apprezzabile e caratterizzato da musiche delicate che pare non esplicitare mai i messaggi che veicola ma che porta con sé un malinconico gemito della regista, annunciatore di un profondo primo addio della sua gente.

 

 Omar Dogliani per EquiLibri d’Oriente

 

 

 

2020-11-14T18:43:26+01:006 Agosto 2019|

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